Nacque da una famiglia ebraica di origine sefardita. Divenne archeologo e studioso del mondo antico. È possibile suddividere la vita e la carriera intellettuale di Macchioro in tre periodi. Dopo la laurea a Bologna in storia antica nel 1904 fino alla prima guerra mondiale, consacra la sua attività intellettuale all’archeologia, lavorando come ispettore alla sovrintendenza dei Musei archeologici. Presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, affronta il problema della classificazione di un’enorme quantità di ceramica delle necropoli della Magna Grecia, ricostruendo la provenienza dei vari pezzi e individuando, attraverso l’analisi stilistica, le diverse fabbriche di produzione. Dopo essersi arruolato come volontario nel 1915, viene inviato al fronte nel 1916. Disperso, scampa fortunosamente alla morte per assideramento. Tale esperienza produce una trasformazione radicale nel modo di vivere e di concepire gli studi sul mondo antico; si tratta di una vera e propria conversione che trova il suo compimento nel capolavoro: Zagreus. Studi sull’orfismo (1920). L’opera prende avvio dall’esegesi degli affreschi alla Villa dei Misteri di Pompei, interpretate come la rappresentazione di una liturgia orfica. La guerra coincide con la fine e l’inizio del secondo periodo di studi orientati verso la storia delle religioni, e in particolare verso l’orfismo e la teologia paolina. Ricordiamo di questa fase: la prima edizione di Zagreus (1920); Eraclito. Nuovi studi dell'orfismo (1922); Orfismo e paolinismo (1922); L’origine orfica della cristologia paolina (1923). Avvicinatosi al protestantesimo nei primi anni Venti, si dedica alla scrittura di testi d’argomento religioso: L’Evangelio (1922); Teoria generale della religione come esperienza (1922); Lutero (1924), in adesione al protestantesimo. Sono anni questi d’intenso lavoro, segnati da inquietudini esistenziali e intellettuali che portarono Macchioro nel vivo di contesti culturali e religiosi i più disparati possibili, nel tentativo di rispondere a quelle esigenze interiori che lo tormentavano e che mai trovarono quiete nel corso della sua vita. Prova ne sono le numerose conversioni: dall’ebraismo al cattolicesimo, al protestantesimo ed, infine, il ritorno al cattolicesimo. Elementi teorici e pratici convergevano all’interno di un metodo di ricerca e di uno stile di vita che sempre più andavano fondendosi, e che avrebbero finito col lasciare traccia profonda in tutta la produzione scientifica dalla fine della Grande Guerra in poi. Per queste caratteristiche di metodo e sensibilità, oltre che per il tipo di esegesi e di contenuti espressi, intellettuali del valore di M. Eliade, A. Warburg, E. De Martino (che divenne suo genero) ne subirono il fascino e ne mutuarono l’ispirazione. Con la seconda edizione di Zagreus (1930) si chiude la fase di Macchioro studioso del mondo antico. L’enorme mole di scritti di questo periodo e la loro originalità ermeneutica gli valgono un riconoscimento internazionale. Nel 1929 tiene un ciclo di conferenze a Berlino, Heidelberg, Francoforte, Praga, Vienna, Graz; nello stesso anno è chiamato alla Columbia University di New York per inaugurare un ciclo di lezioni di storia delle religioni. Tornato a Napoli, nel dicembre 1933, è inviato dal governo italiano in India in qualità di visiting professor, occasione che consente a Macchioro di tenere un ciclo di conferenze incentrate sull’orfismo e sulla religione greca, in diverse città: Benares, Delhi, Calcutta, e presso la Young Men’s Christian Association (YMCA). Nel 1936 è trasferito a Trieste, presso la soprintendenza della Venezia Giulia, dove dirige lo scavo del teatro romano di Trieste e dell’area del foro di Zuglio. Nel 1938, con l’entrata in vigore delle leggi razziali, Macchioro è costretto al pensionamento. Da questo momento in poi, abbandona ogni attività scientifica per dedicarsi esclusivamente alla produzione letteraria, agiografica e giornalistica. In questa terza e ultima fase, firma con lo pseudonimo Benedetto Gioia, contrappunto a Benedetto Croce, i romanzi d’ispirazione autobiografica: Il gioco di Satana (1938) e La grande luce (1939). Viene internato in un campo di concentramento durante la guerra, e successivamente reintegrato in servizio e destinato alla soprintendenza archeologica di Roma (1946).
Il pensiero filosofico-religioso
Macchioro è tra i primi archeologi italiani a valutare storicamente la produzione vascolare italiota. La sua classificazione intese correggere quella allora consolidata di G. Patroni. Ricordiamo i principali contributi: Per la cronologia dei vasi canosini (1910); Per la storia della ceramografia italiota (1910); Il simbolismo nelle figurazioni sepolcrali romane. Studi di ermeneutica [1911]. In questioni di metodo (1910) Macchioro pone una riflessione critica verso l’impostazione evoluzionistica della storia dell’arte e verso un’indagine di natura esclusivamente estetico-formale. Impostazione che lascia in ombra le scuole “minori” ed estromette ogni tipo di considerazione che esuli dalla natura prettamente formale dell’oggetto (ceramica o dipinto) in questione. Macchioro anticipa con questa riflessione, da una parte, la lezione del grande studioso austriaco A. Riegl, e il suo fondamentale lavoro: La fabbrica nell’impero romano (1927), dall’altra, le ricerche di K. Kerényi per il quale filologia testuale e iconografia designano un orizzonte comune di ricerca. Già in questa prima fase di lavoro, emerge un metodo sperimentale e innovatore rispetto alle discipline e ai metodi allora in uso. Sebbene, dunque, la formazione di Macchioro si snodi su una linea positivistica e l’impostazione e il metodo seguano la direttrice wilamowitziana, non possiamo non notare elementi di rottura con questa tradizione. La ricerca di Macchioro andrà sempre più allineandosi alle più radicali istanze filosofiche dell’ambito proprio della Fenomenologia, come ampiamente dimostra la seconda e ampliata edizione di: Zagreus: nuovi studi intorno all’orfismo (1929). La ricerca filosofico-religiosa di Macchioro procede sul sentiero ermeneutico tracciato da Psiche (1898) di E. Rohde. Ciò si manifesta, soprattutto, nell’attitudine da parte dello studioso di porsi di fronte alle questioni del mondo antico non solo in termini storici e storicistici, ma secondo la particolare possibilità di sviluppare una vera e propria critica filosofico-antropologica sul senso presente dell’esistenza. Tale critica trova la sua potenza e la sua attualizzazione nell’apertura alla complessità della situazione culturale vigente, grazie all’integrazione e allo studio di pratiche di sapere esterne ma complementari all’antichistica; l’ascolto e l’utilizzo, per esempio, dell’antropologia, della psicanalisi e dell’etno-musicologia in dialogo con l’archeologia, la numismatica e la filologia. Tale metodo consente di produrre, da una parte, una sintesi di tipo fenomenologico-esistenziale (è questa la differenza essenziale con la Scuola di Pettazzoni e con l’orientamento culturale crociano); dall’altra, il tentativo ancora più radicale, di assumere l’inattualità dei fenomeni - come le pratiche orfico-dionisiache - per una critica e trasformazione delle istituzioni culturali presenti nella vita quotidiana contemporanea. Il segno distintivo della prassi ermeneutica macchioriana è, pertanto, contrassegnato da questa tecnica di montaggio, che non solo connette pratiche e saperi diversi, ma che permette di evocare – fenomenologicamente - l’evento del fenomeno indagato rendendone possibile l’intuizione eidetica-essenziale. Per tali precipui motivi, Macchioro può considerarsi interprete originale dell’orfismo, così come della teologia paolina. A Macchioro non sfugge, infatti, l’eredità in Paolo della cultualità orfico-dionisiaca, come mostra chiaramente il suo saggio: Orfismo e paolinismo, in cui rivela e scandisce la dimensione magica, concreta della liturgia cristiana, senza soluzione di continuità con quella eleusina. L’identità tra Dioniso e Cristo - tra il mistero orfico-dionisiaco e quello del cristianesimo paolino - sono da rintracciarsi, dunque, nell’azione cultuale in quanto possibilità reale, e non soltanto spirituale, di redenzione e di palingenesi. Questo tipo di lettura consente a Macchioro di esprimere un contenuto rimasto sul fondo della cultura cristiana. Permette di recuperare il fondo mistico presente nel cristianesimo paolino, che Macchioro definisce col termine “realistico”, da contrapporre alla concezione “spirituale” dominante, tipica dell’evoluzione della teologia post-paolina; di una visione, cioè, sempre più intellettuale e metafisica della religione. Tale “spiritualizzazione” sarebbe la causa, secondo Macchioro, di un processo di sterilizzazione e alienazione dell’esperienza e della presenza del divino nella vita, a favore di una concezione dell’esistenza sempre più rappresentativa: lontana dal potere miracoloso e magico della realtà, di cui l’esperienza cristiana sarebbe stata, in origine, la traduzione
perfetta della dimensione dionisiaca, tipica del mondo greco. Tale interpretazione dell’orfismo, così come del cristianesimo, non trovarono quasi mai unanimi consensi neppure tra gli storici delle religioni francesi, sebbene l’importanza della sua opera sia emersa nella ricerca scientifica più recente (v. M. Detienne, Les chemins de la déviance: orphisme, dionysisme et pythagorisme, in: Orfismo in Magna Grecia. Atti del XIV Convegno sulla Magna Grecia (1974).
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